Si tratta di un’organizzazione, nata concettualmente nel 2010 e concretizzatasi nel 2012, che comprende gli stati europei della zona euro; dal punto di vista giuridico è a tutti gli effetti un’ impresa pubblica, composta da soci che sono effettivamente Stati membri dell’ UE. L’organismo si concretizza in una società di diritto lussemburghese ed ha una sede, degli amministratori, dei dirigenti e personale stipendiato, proprio alla stregua di un’azienda.
L’intento pratico è quello di tutelare la stabilità economico-finanziaria dei paesi membri ed assisterli in momenti di difficoltà finanziaria. Ha sede in Lussemburgo e nasce con una capacità di prestito massima da erogare di cinquecento miliardi di euro, oggi maggiorata; alla buona riuscita del progetto risulta fondamentale che gli Stati membri adottino le misure necessarie per la stabilità economica, mantenendo fermo il principio della responsabilità delle proprie finanze pubbliche. La versione ultima, sottoscritta nell’Ottobre 2012, solo dopo la complessa ratifica da parte della Germania, apporta una sostanziale modifica all’iniziale ammontare massimo di risorse disponibili, oggi maggiore di settecentomiliardi di euro, e alla tipologia di operazioni consentite.
Il MES si trova a sostituire i vecchi FESF e MESF, rispettivamente Fondo europeo di stabilità finanziaria e Meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria, nati anch’essi con finalità similare, allorchè stati come il Portogallo e l’Irlanda vennero investiti dalla crisi economico-finanziaria.
Il fondo emette prestiti concessi a tassi fissi o variabili, per assicurare assistenza finanziaria ai paesi in difficoltà e acquista titoli sul mercato primario, a condizioni molto severe e con la possibilità di sanzioni molto dure per quegli stati che non dovessero rispettare le scadenze di restituzione del credito ricevuto, pena anche l’impossibilità, in caso di insolvenza, ad esercitare il proprio diritto di voto fino all’ottemperanza relativa al debito contratto.
Per tutte le decisioni è necessaria la maggioranza relativa dei due terzi dei membri aventi diritto di voto, e i diritti di voto di ciascuno Stato membro sono stabiliti in proporzione al valore delle quote versate nel fondo stesso.
Il MES emette strumenti finanziari e titoli e potrà acquistare titoli di stati dell’euro zona sul mercato primario e secondario, dove il primo è il luogo dove vengono negoziati i titoli ed il secondo è il luogo dove vengono scambiati gli stessi, già in circolazione. Il fondo potrà concludere inoltre intese o accordi finanziari anche con istituzioni finanziarie e istituti privati. È previsto l’appoggio anche delle banche private nel fornire aiuto agli stati in difficoltà, ed in caso di insolvenza di uno Stato finanziato dal MES, quest’ultimo avrà diritto a essere rimborsato prima dei creditori privati.
L’Italia, con 14,33 miliardi di euro versati è il terzo contributore dietro a Germania e Francia ed i contributi al Mes sono stabiliti in proporzione al Pil degli Stati ed alla popolazione.
In merito alla riforma del MES, i Paesi hanno trovato un accordo politico preliminare nel giugno scorso sull’ insieme delle correzioni da apportare che parrebbe pressochè definitivo; questa sottoscrizione di massima da parte dell’Italia ha dato via libera ad alcune polemiche da parte della leader di fratelli d’ Italia Giorgia Meloni e del leader della Lega Matteo Salvini.
L’opinione dei Ministri è che si tratti di un trattato che rischia di inficiare gravemente i risparmi degli italiani, dal momento che, nel caso in cui l’Italia avesse bisogno di accedervi e fosse richiesta la ristrutturazione del debito pubblico, le nostre banche andrebbero in default dato che detengono il 70% del debito pubblico italiano.
La conseguenza a questa situazione sarebbe la corresponsabilità di correntisti e risparmiatori. Il Premier Giuseppe Conte ha però rassicurato in merito a queste polemiche, definendole faziose e mendaci e sottolineando anche il parere di esperti come il Presidente dell’ Eurogruppo Mario Centeno e del Ministro dell’ economia italiano Roberto Gualtieri.
La riforma prevede l’introduzione di un paracadute da settanta miliardi di euro per aiutare i paesi a risolvere le proprie crisi bancarie nel caso di carenza fondi e l’abolizione dell’ iter fino ad oggi usato della sottoscrizione del Memorandum d’intesa in cui vengono poste le condizioni per accedere al credito da parte del paese in necessità. La necessità di dover sottoscrivere un Memorandum d’intesa scoraggia gli Stati a chiedere questi prestiti, in quanto la loro sovranità viene significativamente compressa, oltre al fatto che si necessita dell’unanimità positiva dei 19 Stati del MES per approvarlo.
Con la riforma invece sarebbe possibile accedere al credito anche in assenza del memorandum a quei paesi che risultino in linea con le regole europee di finanza pubblica; per gli altri invece resterebbe l’ Eccl (enchanced conditioned credit line) che richiede, oltre a determinate condizioni, anche la stesura del suddetto memorandum. Chiaramente, considerando la posizione critica dell’ Italia riguardo ai conti pubblici, l’uso di questo strumento risulterebbe alquanto limitato.
La riforma tenta insomma di facilitare la ristrutturazione del debito introducendo la possibilità di rientrarvi totalmente con l’approvazione di una maggioranza qualificata di tutti i creditori, attraverso il consiglio di amministrazione in cui siedono i ministri delle finanze dei 19 paesi dell’ Eurozona e l’approvazione della Bce e della Commissione europea, che si occupano di analizzare la sostenibilità del debito e la solvibilità del paese che lo ha contratto. Differentemente, in passato, occorrevano due differenti maggioranze ed era permesso, anche a piccoli creditori o a un solo creditore che possedesse molti titoli di stato, di bloccare ogni ristrutturazione del debito, cosa che è accaduta nel caso della Grecia.
La riforma del Mes è ancora in discussione a livello comunitario: manca l’approvazione definitiva dell’Eurogruppo e la successiva ratifica da parte dei 19 Parlamenti nazionali dell’Eurozona.
La bozza che è stata diffusa e le diverse novità che contiene, sono state valutate positivamente nel complesso dagli esperti, ma con alcuni punti critici per l’Italia. Le perplessità sono chiaramente legate al rischio che l’annuncio di una maggior facilità nella ristrutturazione dei debiti pubblici scateni la speculazione contro i Paesi con i conti meno in ordine.

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