Aspre critiche si sono susseguite al decreto della fase 2, sul fatto che non avesse incluso la riapertura delle chiese per le celebrazioni eucaristiche con il decorrere del 4 Maggio prossimo. L’assemblea permanente dei Vescovi ha criticato la decisione e parlato di compromissione della libertà di culto, inducendo il governo a valutare, con le dovute precauzioni, l’emanazione di un ulteriore protocollo per la ripresa delle celebrazioni all’interno delle chiese, ma in sicurezza.
Da qui l’opinione pubblica si è divisa e dibattuta sull’impellenza, per un risoluto praticante cattolico, di presenziare e partecipare fisicamente e con la propria fede alla celebrazione; la risposta è arrivata dal mondo cattolico, ferma, semplice ed affermativa.
Facendo riferimento al fondamentale momento dell’Eucarestia, che permette al fedele di ricevere il corpo ed il sangue del Cristo, va da sé che, senza celebrazioni, si privi di ricevere Gesù Cristo, simbolicamente presente attraverso l’ostia consacrata ed il vino.
I cristiani cattolici credono infatti che nella “particola”, l’ostia che mangiano a messa durante il momento dell’Eucarestia, meglio conosciuta come momento della comunione, sia presente Gesù Cristo; si tratta del concetto di transubstanziazione, rifiutato dalla maggior parte delle Chiese protestanti, che è uno dei sacramenti più importanti per la religione cattolica.
Oltre alla componente intima e religiosa, ne esiste una prettamente sociale, specialmente nella frangia anziana della comunità credente e praticante; la messa significa far parte della famiglia della parrocchia che si segue e della vita di comunità, aspetto apparentemente banale ma fondamentale invece per molti praticanti.
Ciò che ci si domanda è, da un punto di vista precauzionale e scientifico, se possa essere opportuno mettere a repentaglio la vita di taluni soggetti, probabilmente anche di età avanzata vista la platea di alcune chiese, per assecondare la rispettabile “fame di messa” da parte dei credenti. Se in qualsiasi attività che riprenderà o che non ha mai smesso di produrre e lavorare, la distanza di almeno un metro è fondamentale per scongiurare il contagio del virus, è lecito domandarsi come coniugare il desiderato sacramento dell’eucarestia con la salvaguardia della salute dei fedeli stessi e del presbitero celebrante messa, e perché, senza ingerenza alcuna sulla fede cattolica, non si possa manifestare invece la propria fede e riconoscenza al cielo da un’intima stanzetta di casa, stringendo i denti per qualche tempo ancora.
La violazione di libertà di culto, lamentata dall’assemblea permanente dei Vescovi dopo il decreto fase 2 del Premier, non sembra essere esattamente questa; piuttosto, a qualcosa di simile, farebbe pensare la situazione dei musulmani che in alcune città d’Italia sono costretti a celebrare i propri riti in garage o capannoni per l’assenza totale di una moschea in città, per opinabile scelta di amministrazioni di estrema destra passate o vigenti.
Appare anche utile riflettere sul fatto che la parola di Dio possa essere ovunque ed in ogni gesto, in famiglia, tramite un aiuto solidale, invisibile ma concreto verso il prossimo; è comprensibile che possa mancare il radunarsi a pregare insieme, ma è pur vero si tratti di una situazione temporanea e rimediabile con una preghiera singola ma altrettanto valida e forte. Non è solo un parere da credente plasmabile, dalla pratica ondivaga, e non è nemmeno uno sprezzante assunto di un ateo imperturbato. Molti stessi uomini di chiesa in questi giorni si sono esposti ed espressi in tali termini, sostenendo che la fede è altro oltre all’Eucarestia o alle mura di una chiesa, dando probabilmente la speranza di un ammodernamento, che non sia dissacrante o sconcertante, per le pratiche ecclesiali. Forse la fede e la pratica cattolica oggi giungono a un bivio; forse necessitano una qualche dose di apertura alle concretezze della vita che, purtroppo, si sono palesate attraverso gli esiti e le procedure necessarie da porre in essere, senza ma e senza se, durante questa questa pandemia. E chissà che questa potenziale apertura all’orizzonte, foraggiata anche dal Santo Padre, non possa portare ad un coinvolgimento maggiore di giovani e una maggiore pragmaticità dell’amore che Gesù intendeva, in vita, consegnarci e diffondere, dentro e fuori dalle chiese