La canapa è una pianta erbacea a ciclo annuale che può estendersi dalla propria radice dal metro e mezzo sino ai sei metri di altezza, a seconda delle diverse specie di cui si parli; la foglia, dalla forma palmata, è composta da cinque a tredici foglioline con margine dentato e punte acuminate.
La pianta germina in primavera e fiorisce verso Settembre quando le ore di luce diminuiscono, anche se il periodo della fioritura muta e dipende dalla varietà presa in considerazione; in autunno compaiono i frutti, duri e tondeggianti che, a loro volta, contengono un seme. La canapa viene classificata in due chemiotipi: il CBD che contraddistingue la canapa destinata ad utilizzi agroindustriali e terapeutici ed il THC, destinato a produrre infiorescenze e medicamenti.
Per quanto riguarda l’uso psicotropo, che è quello oggi probabilmente più popolare, antiche popolazioni Hindu di India e Nepalfacevano già ampio utilizzo della cannabis, oltre alla popolazione Hashashin in Siria, da cui venne mutuato il nome dell’ hashish, che la utilizzava per le proprietà di alterazione della mente. Anche gli Assiri, gli Sciti ed i Traci cominciarono a farne uso durante i loro riti religiosi. Dalla Cina in poi, grazie all’Imperatore Shen Nung, padre della medicina cinese, venne dato ampio spazio alla cannabis come sostanza dall’ enorme potenziale curativo; nella sua farmacopea datata 2700 a.C. apparivano già rimedi a patologie dolorose interne sotto forma di bevanda, mentre ai fumi erano date potenzialità curative di mal di denti o lacerazioni in sede orale.
Grazie al nomadismo di alcune popolazioni dell’ Asia gli studi e le applicazioni degli stessi sulla cannabis giunsero sino in medio oriente, nel mediterraneo, dove Erodoto racconta nell’ 800 a.C. banchetti e cerimonie funebri allietate dal consumo di questa erba ed, infine, nell’ Europa occidentale.
Nel Medioevo l’uso proseguì in modo lecito sino al 1484 quando, una bolla emanata dal Papa, ne vietò l’uso ai fedeli; nell’ Ottocento se ne magnificò l’utilizzo anche in campo scientifico-psicologico in seguito alle testimonianze scritte dello psichiatra francese Moreau che, nel 1840, ne descrisse gli effetti; nacque così a Parigi il Club des Hashischins frequentato da poeti e scrittori come Victor Hugo, Alexandre Dumas, Charles Baudelaire e Honorè de Balzac.
La cultura creolo-giamaicana ne ha da sempre fatto uso, menzionandola come Ganja, per la meditazione e la preghiera a scopi sacrali.
I preparati come l’hashish e la marijuana sono costituiti dalla resina e dalle infiorescenze femminili ottenute dalla seconda tipologia, THC che, sino alla seconda metà del secolo scorso, venivano coltivate, nonostante la politica restrittiva degli anni ’30, per la costituzione di ibridi altamente produttivi utilizzati in campo industriale, nell’ industria tessile e persino automobilistica.
Alcune parti di un prototipo Ford negli anni ‘30, vennero realizzate con materiali derivati dalla canapa, che garantivano ad una delle prime macchine prodotte in serie, un notevole alleggerimento di peso rispetto alle altre prodotte con i materiali standard; inoltre, grazie all’ olio estratto dalla cannabis, la vettura ideata da Henry Ford nel ‘37, poteva utilizzare un particolare biodiesel come carburante del motore, diventando una potenziale idea di concorrenza al petrolio e all’industria chimico petrolifera in netta ascesa negli Stati uniti e nel mondo.
Nel giugno del ’37 l’allora Presidente degli Stati Uniti Roosvelt firmò il “Marijuana Tax Act” in merito alla regolamentazione della coltivazione di qualsiasi tipologia di canapa, anche a scopo medicamentale. La legge, in realtà, non ne vietava espressamente la coltivazione, la compravendita o il consumo, ma, in “stile Americano” rendeva, in modo democratico, concretamente proibitivo ed antieconomico l’utilizzo della Cannabis, tassando di un dollaro (negli anni ’30..) qualsiasi transazione commerciale riguardante la pianta ed i suoi derivati, ed introducendo, oltretutto, un contorto sistema burocratico nel cui limbo restavano vincolati gli attori del processo di produzione e consumo.
In maniera fisiologica divenne così molto rischioso investire commercialmente sulla canapa, e gli effetti di questa legge, più proibitiva che tassativa, non tardarono a manifestarsi con un conveniente e notevole innalzamento del consumo del petrolio, risorsa a cui indubbiamente gli Stati Uniti erano particolarmente “sensibili”.
Un approccio nuovamente conciliativo alla cannabis venne esplicitato dal governo nel 1942 quando, in piena guerra, diede al Dipartimento dell’Agricoltura l’input di incoraggiare i produttori a riprendere la coltivazione, per fabbricare le cime delle navi da guerra, dato che le altre materie prime per la prodizione delle gomene erano bloccate dal Giappone.
Nel 1961, dopo le numerose pressioni da parte degli USA, l’ ONU emanò il Single Convention Drug Act, con il quale la cannabis venne classificata sostanza stupefacente; il rappresentante americano della Commissione Onu per le droghe stupefacenti era, al tempo, Harry Anslinger che, prima di aver perseguito e raggiunto questo obiettivo nemmeno troppo segreto, era stato il fautore di una campagna negli USA che definire allarmistica sarebbe eufemistico.
Si trattava di campagne promozionali ad alto volume, sostenute dalla stampa locale, che davano alla marijuana il buffo epiteto di “erba del diavolo”, il cui consumo portava ragazzi “normali” a commettere efferati omicidi e a donne bianche la pulsione di ricerca di relazioni sessuali con uomini neri, facendo dunque leva sui pregiudizi razziali ancora in auge.
A sostegno dello sfruttamento ancora oggi troppo esiguo della canapa, il fatto che ogni parte della stessa risulta da sempre utilizzabile per numerosi e differenti utilizzi: il fusto nel passato costituiva la materia prima per la produzione della carta, di fibre tessili, plastiche e per la realizzazione di concimi naturali, mentre le foglie, in campo medico e veterinario, sostituivano grazie al potenziale antiinfiammatorio, molti odierni farmaci con stessa finalità terapeutica; i semi, ricchi di vitamine e amminoacidi essenziali, costituiscono un alimento completo e furono, in passato durante periodi di carestia, utili a numerose popolazioni, trasformati in una sorta di farinata o, nella cucina odierna, in una pasta simile a quella di grano tenero, solo più scura cromaticamente, ma molto più nutriente e proteica. Inoltre si prestano ad essere utilizzati, tramite la loro spremitura, come olio alimentare dal sapore speziato ed anche come combustibile, o per la produzione di latte, tofu, panna o margarina, alla stessa stregua dei fagioli di soia, ma ad un costo molto meno elevato.
Dal sottoprodotto dei semi pressati nell’ estrazione dell’olio si può ricavare, nel campo della nutrizione di animali da fattoria o domestici, un output alimentare dalle ottime caratteristiche poiché i semi, come detto, contengono un elevato gradiente proteico, di carboidrati e di acidi linoleici; il seme di canapa può perfettamente fornire una dieta quasi completa per cani, gatti e pollame, garantendo il mantenimento del peso e dei fattori nutritivi, ad un costo nettamente inferiore rispetto ai mangimi utilizzati e senza bisogno, nel caso del pollame, di utilizzare steroidi per la crescita artificiale ed altri farmaci indubbiamente tossici.
La canapa risulta oggi una risorsa anche nella produzione di creme, cosmetici e prodotti per l’igiene come shampoo e saponi ed i cannabinoidi presenti sulla superficie della pianta hanno potenzialità comprovate antibatterici contro diversi ceppi di Staffilococco.
C’è da chiedersi perchè, o forse si conosce già la risposta, come negli anni ’30, dopo praticamente un secolo, ancora oggi l’utilizzo massivo di una risorsa a basso costo e ad impatto ambientale contenuto, non venga spinto in maniera convinta dai governi di tutto il mondo.