La crisi del settore manifatturiero in Cina in seguito all’ espandersi del virus è profonda, ancor peggiore della grande crisi finanziaria del 2008.
La seconda economia del mondo e primo Paese esportatore ha registrato, in febbraio, un calo molto sensibile, segnalato dall’indice Markit-Caixin, che misura l’attività manifatturiera; il Pmi per il settore preso in esame è sceso a 40,3 contro i 51,1 di gennaio, confermando la gravità delle conseguenze economiche derivate dal coronavirus.
Su quanto sta veramente accadendo nei mercati e nella Borsa di Shanghai sappiamo tutti molto poco. E questa già di base sarebbe una notizia non confortante, perché se c’è qualcosa che preoccupa i mercati è proprio la mancanza di trasparenza, che più di ogni cosa genera paura, incertezza, e quindi vendite e fuga di capitali, che hanno prodotto la maggiore perdita dal 2007, e che ha trascinato le Borse europee nel peggior crollo dal 2011. Qualcosa, però, lo si sa: il mercato finanziario cinese è senza dubbio cresciuto troppo e troppo velocemente negli ultimissimi anni, in un periodo di trend pienamente inverso per quanto riguarda l’economia reale e la manifattura. Nel giro di pochi anni l’economia cinese ha subito una radicale evoluzione; da “paese della cuccagna” degli imprenditori occidentali che delocalizzavano le industrie attratti dal bassissimo costo del lavoro, a diventare oggi uno dei principali mercati mondiali di consumo e anche di beni di lusso. Non è affatto casuale che i titoli italiani in caduta libera a Milano nelle trascorse settimane sono quelli dell’alta moda, a testimonianza dell’ impatto che la Cina ha sulla nostra attività.
Il settore finanziario cinese, inoltre, ha subito una crescita esponenziale, anche grazie alla svolta normativa, avvenuta nell’Ottobre del 2014, che ha aperto il mercato borsistico agli investitori internazionali, trasformando così le Borse cinesi da piazze periferiche a secondo mercato al mondo, dietro solo a Wall Street.
Il punto nodale e preoccupante è che quando la finanza cresce a tassi molto elevati mentre l’economia reale rallenta, con grande probabilità si sta formando una bolla speculativa che, racconta la storia economica, prima o poi è destinata a scoppiare. È ancora troppo presto per dire se siamo alla vigilia di un altro tsunami finanziario mondiale con baricentro in Cina, o se si tratta soltanto di un rimbalzo e di un aggiustamento di un ciclo dei rendimenti finanziari cinesi che, dopo essere cresciuti molto nell’ultimo anno, ora stanno restituendo quanto guadagnato.
Se si guarda bene a quanto sta accadendo nel mondo, con il crollo del prezzo del petrolio, e le incertezze sul presente e futuro della Grecia e dell’Europa stessa, probabilmente si può azzardare qualche considerazione di carattere generale sullo stato di salute del sistema economico-finanziario globale.
Nonostante gli effetti devastanti della ultima grande crisi finanziaria statunitense ed europea, la speculazione non si è mai fermata in nessun Paese, ma si è solo orientata alle economie emergenti, la Cina in primis; questo lascia dedurre che le istituzioni politiche, economiche e finanziarie non hanno tratto nessuna lezione dalle lacrime degli anni trascorsi. Non appena, infatti, l’economia USA e quella degli Stati europei più forti hanno riiniziato a crescere, le politiche, le leggi e soprattutto l’atteggiamento culturale delle istituzioni nei confronti della finanza sono tornati, nella sostanza, quelli di prima il 2007; in materia di economia e finanza la storia è una maestra che pare avere soltanto pessimi alunni.
La crisi dell’euro e della Grecia ha, poi, di nuovo distratto l’opinione pubblica che ha dimenticato di seguire, con opportuno senso critico, il mondo della grande finanza che invece, nella nostra disattenzione, ha continuato indisturbata a fare il suo mestiere.
Il primo messaggio che dunque giunge da queste turbolenze cinesi è chiaro e dice che l’alta finanza è oggi il vero unico potere mondiale; il secondo però, di conseguenza, dovrebbe scuotere la popolazione, e non solo quella nicchia esperta di economia e di mercati, reali e non.
Non ci si può permettere di ignorare la situazione economico-finanziaria e lasciarla in mano solo agli specialisti, anche perché quando le grandi bolle finanziarie esplodono è sempre troppo tardi.
Anche se la retorica delle grandi potenze sottolinea la salute delle economie occidentali, in realtà il nostro sistema globale è estremamente vulnerabile, perché lo stiamo allontanando progressivamente dal lavoro umano e dall’economia reale, per fondarlo su ricchezze troppo astratte e virtuali e su mercati non controllabili in tempo reale. Probabilmente occorrerebbe domandarsi di che entità sia l’economia cinese ed i valori accresciutisi vertiginosamente in quest’ultimo anno se è stato distrutto quasi per intero in qualche seduta di Borsa.
Su quale valore e su quali valori si poggia dunque l’economia del nostro nuovo mondo, sempre più orientata ai mercati virtuali e meno a quelli reali? Se, infatti, le nostre economie producono benessere sganciato dal “fattore lavoro”, è probabile che, quella cinese di oggi, o una grande bolla finanziaria domani, distruggano in pochi giorni la ricchezza che si era certi fondasse i nostri consumi e i nostri mutui. Per evitare questi non troppo improbabili scenari, che non sarebbero poi di semplice riorganizzazione, occorre un nuovo protagonismo della politica, locale e globale.
I maldestri tentativi del governo cinese di gestire una finanza che è diventata ingovernabile, dicono anche che un’ economia e una finanza totalmente fuori dalle dinamiche democratiche si trasformano in breve in macchine incontrollabili, che fanno esultare per “guadagni gratis” e domani probabilmente piangere per perdite che ricadono, peraltro, in massima parte su chi non aveva minimamente goduto dei primi facili guadagni.
Mentre il mondo è con il fiato sospeso in attesa dei prossimi sviluppi, sarebbe opportuno iniziare a seguire la finanza, approfondendone aspetti oscuri, ed esercitando la sovranità di cittadini.
Chiedere maggiore democrazia economica e finanziaria è un diritto, oltre che un importante dovere, se non ci si vuole rassegnare a diventare sempre più sudditi di un impero invisibile dove
le grandi bolle speculative sarebbero dovute essere l’eccezione, e non la regola, del nuovo capitalismo finanziario.