Passando da un negozio musicale è frequente vedere delle mini chitarrine esposte in vetrina, di legno, in plastica, colorate, nere; dal manico molto stretto, l’Ukulele in realtà è solo un parente lontano della chitarra, dalle fattezze simili. E’ un cordofono a quattro corde e dodici tasti che, a seconda delle dimensioni del corpo e della tastiera, viene distinto in cinque versioni: sopranino, soprano, concerto, tenore e baritono.
Una sostanziale differenza con la chitarra sta nel fatto che l’Ukulele non segue l’ordine corda sottile uguale a suono acuto e nota alta, ed è proprio questa caratteristica che gli conferisce quel tipico suono amabile e felice.
Lo si associa spesso alla musica tipica hawaiana, ma sia nel passato che oggi, non sono pochi i gruppi o i cantanti europei che creano arrangiamenti utilizzando questo strumento.
Alcuni musicisti lo utilizzano con l’accordatura standard, molto particolare, mentre altri preferiscono accordare lo strumento un’ ottava più in basso rispetto alla regolare accordatura, per rendere il suono più similare a quello delle prime quattro corde “basse” della chitarra, come se si avesse un capotasto sul quarto tasto.
Le radici dell’Ukulele, che erroneamente si ritengono appartenenti alla popolazione Hawaiana, risalgono alla seconda metà dell’ ottocento, per merito del viaggio di alcuni portoghesi giunti alle Hawaii per coltivarne i campi; questi liutai, conoscendo bene la lavorazione del legno per strumenti musicali, prendendo spunto dal machete de braga, o braguinha e dal rajao, ne crearono un ibrido, inventando l’Ukulele.
Mentre si diffuse in tutto il mondo, le Hawaii rimasero sempre la patria indiscussa del piccolo strumento a corde e, fino ad oggi, ad Honolulu si tiene il più importante festival dedicato allo strumento. Le Hawaii pare quindi non abbiano inventato lo strumento ma, quel che è certo, gli hanno assegnato il nome; esistono due tesi differenti sull’ origine del nome dello strumento, la prima che si baserebbe sul significato della parola ukulele come “pulce che salta”, che pare fosse stata l’impressione che la popolazione hawaiiana ebbe dei portoghesi, abilissimi suonatori e quindi molto rapidi con le dita.
Altra interpretazione, sempre legata all’arcipelago del Pacifico, è che la regina avesse dato il nome scomponendo in “uku” che significa regalo e “lele” che significa arrivare, volendo significare il fatto che fosse un regalo che giungeva da lontano, proprio dai nuovi arrivati portoghesi.
L’evoluzione dell’ Ukulele fu così rapida e diffusa che, nel 1920, il famoso costruttore di chitarre acustiche C.F. Martin vendeva tante chitarre quanti ukulele; questo perchè, a causa della guerra e della conseguente crisi economica globale, l’utilizzo di uno strumento economico come l’Ukulele restava alla portata di tutti. Grazie alla massiccia produzione di Ukulele, i marchi più quotati come Gretsch e Gibson riuscirono a sopravvivere alla criticità del periodo storico.
Tra i gruppi e cantanti più famosi ad averne fatto utilizzo in alcuni propri brani ricordiamo certamente: Brian May, chitarrista dei Queen, che ne fece uso nella canzone Good Company, Rino Gaetano a Sanremo nel 1978 durante l’esecuzione del brano Gianna, George Harrison che lo utilizzò in una sua canzone nel 1969 intitolata Something e che diede, a metà degli anni ’90, una spinta enorme all’ ondata di successo dell’ Ukulele, affermandone la sua forte passione. Infine Eddie Vedder nel 2011 ha pubblicato un intero album “Ukulele songs” interamente arrangiato con lo stesso.
Si dice, tra l’altro, che il primo strumento acquistato da Syd Barret, fondatore dei Pink Floyd, fu proprio un Ukulele.
Anche nel cinema, è curioso ricordare come sia Marilyn Monroe nel celebre “A qualcuno piace caldo”, che Ollio nel film “I figli del deserto”, che Mia Farrow nel film diretto da Woody Allen “La rosa purpurea del Cairo” suonassero l’Ukulele.
Uno strumento piccolo e maneggevole che indubbiamente resta, per il suo suono particolarissimo ed allegro, unico nel suo genere tra i cordofoni.

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